il prof. Salsa a Fossombrone alla 4 gnfd

Ferrovie alpine

Riceviamo e pubblichiamo dal ns amico e socio, l’antropologo Annibale Salsa ex Presidente Generale CAI un articolo già pubblicato sul quotidiano “L’Adige”.                                                                    Anche nelle Alpi i progetti abbandonati sulle ferrovie ritornamo d’attualità. 

il prof. Salsa a Fossombrone alla 4 gnfd

FERROVIE ALPINE

Il problema della mobilità attraverso le Alpi sta tornando attuale più che mai, soprattutto dopo la ratifica del Protocollo Trasporti della Convenzione alpina da parte dell’Italia (Ottobre 2012). Con quel provvedimento, che tutti i Paesi alpini europei avevano già approvato nel corso degli anni, anche il nostro Paese si è allineato con fatica alle posizioni più illuminate d’oltralpe. Si sa che nella mentalità italiana, peraltro continuamente alimentata dalle “lobbies” del trasporto su gomma, la rotaia non è mai stata amata. Ciò vale sia per la rete tranviaria delle grandi città, abbondantemente tagliata o cancellata negli anni Sessanta / Settanta del Novecento e in controtendenza rispetto al centro e al nord Europa, sia per la rete ferroviaria cosiddetta “minore” o secondaria. Si tratta, soprattutto, di un problema culturale antropologicamente documentabile, molto prima che di un problema tecnico o di analisi econometriche costi / benefici. Gli anni Sessanta del secolo scorso ponevano già il problema dei cosiddetti “rami secchi” (anche i rami delle piante non sempre seccano da soli, ma spesso vengono fatti seccare per incuria!). Si tratta di quelle linee ferroviarie che si volevano eliminare per scarsa frequentazione ma che, in realtà, si volevano sacrificare sull’altare della nascente mitologia auto-trasportistica. Erano gli anni in cui la Fiat del prof. Valletta dettava le politiche dei trasporti a livello nazionale, nella direzione del disimpegno progressivo verso il settore ferroviario, ed a favore delle autostrade ritenute uniche panacee per la ricostruzione industriale del dopoguerra. Certamente l’Italia aveva bisogno di nuove strade a scorrimento veloce e di autostrade. Tuttavia, mentre gli Stati transalpini – Francia, Svizzera, Austria, Germania Ovest – indirizzavano il progresso tecnologico verso il miglioramento di tutte le infrastrutture (vecchie e nuove) nella prospettiva dell’integrazione strada-rotaia, le italiche “Cassandre” prospettavano un graduale declino della strada ferrata. E così, una dopo l’altra, venivano chiuse all’esercizio molte linee intra-alpine che avrebbero potuto garantire accessi dolci alle valli, a basso inquinamento e occupazione limitata degli esigui spazi della montagna. Nella nostra Regione trentino-sudtirolese ne faranno le spese la Mori-Arco-Riva (1936), la Brùnico-Campo Tures (1957), la Chiusa-Plan Val Gardena (1962), la Ora-Predazzo (1963), la transregionale Ferrovia delle Dolomiti Dobbiaco-Cortina-Calalzo (1964). Resisteranno alla furia distruttiva la Trento-Malè: la vecchia “vaca nònesa” oggi trasformata in una moderna ferrovia, prolungata con grande lungimiranza fino a Marilleva ‘900 e prossimamente fino a Mezzana. Sull’altipiano bolzanino fa ancora bella mostra di sé la Ferrovia del Renon, vero oggetto di culto ferro-amatoriale, frequentata da turisti e residenti. In Val d’Ossola, fra Piemonte e Canton Ticino, si è salvata ed è stata rilanciata con materiali e servizi di qualità la Domodossola-Locarno grazie al fatto che, per metà percorso, questa linea alpina a scartamento ridotto ricade in territorio ticinese elvetico. Purtroppo, nell’immaginario culturale italiano del dopoguerra, il treno veniva associato al disagio delle tradotte dove viaggiavano uomini ed animali. Su qualche vagone si leggeva, ancora nei primi anni Sessanta, la scritta sbiadita: «cavalli 8, uomini 40». Il disimpegno verso il trasporto su rotaia veniva salutato alla stregua di una terapia liberatoria da vincoli e disservizi, spesso voluti per giustificare il disimpegno. Le linee soppresse erano certamente obsolete dal punto di vista tecnologico. I costi di esercizio si dilatavano poiché l’automazione degli impianti di segnalamento e sicurezza era ancora di là da venire. Nessun investimento migliorativo era stato deciso in quanto il loro destino era definitivamente segnato da scelte politiche ispirate a logiche miopi, accecate da un malinteso senso del progresso e dalla libidine del “nuovismo” a tutti i costi. Intanto, nella Confederazione Elvetica, i vecchi trenini di montagna venivano trasformati in silenziosi salotti destinati a servire con efficienza e puntualità le più note località turistiche delle Alpi. Otto di queste località sono state escluse, e continuano ad esserlo, dall’accesso in automobile o autopullman (Zermatt, Saas-Fee, Bettmeralp, Riederalp, Műrren, Wengen, Braunwald, Stoos). Esse sono state indicate con la denominazione di «villaggi senz’auto / ohne auto / sans auto / car free». In queste località, servite da ferro-tranvie o da funivie per mobilità alternativa (non semplici impianti di risalita per soli sciatori!), i turisti sono cresciuti e la crisi del turismo di questi ultimi anni non si è fatta sentire. Se pensiamo che, nell’anno 2008, la ferrovia retica del Bernina ha ricevuto il riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità, dovremmo riflettere seriamente sul valore aggiunto per i siti dolomitici Unesco che ferrovie alpine come quella della Val Gardena, della val di Fiemme, delle Dobbiaco-Cortina avrebbero potuto avere nella risoluzione dei problemi della mobilità sostenibile in termini ambientali, paesaggistici e d’immagine. Invece, ancora oggi, si discute con argomentazioni da cultura della rottamazione ferroviaria anni Sessanta sulla validità di una nuova ferrovia per le Valli dell’Avisio (Cembra, Fiemme, Fassa). Voglio ancora ricordare l’esempio della Ferrovia della Val Venosta che le Ferrovie italiane dello Stato, con le stesse argomentazioni anacronistiche che umiliano il trasporto locale in nome delle Frecce (rosse piuttosto che argentate), consideravano superata e chiusero all’esercizio nell’anno 1990. Effettivamente, con quel modello di gestione, le ferrovie locali di montagna non avevano futuro. Ma con l’acquisizione della linea da parte della Provincia autonoma di Bolzano la Val Venosta si è dotata, a partire dall’anno 2005, di un servizio efficiente ed ecologico, cadenzato negli orari e all’altezza dei tempi. La frequentazione è subito aumentata a livelli impensabili dopo quel cambio di filosofia gestionale. Come si vede, tutto si riduce ad una questione culturale non astratta, anzi concretamente misurabile in termini economici nel senso vero della parola “economia” (che include le valutazioni sociali ed ambientali) e non in asettici conti ragionieristici. Con la stessa miopia, negli ultimi anni la mannaia anti-ferroviaria si è fatta sentire in alcune Regioni del nord Italia come Piemonte e Veneto. Queste due Regioni, infatti, con il pretesto dei tagli alla spesa pubblica hanno inferto duri colpi al trasporto regionale su rotaia peggiorando la qualità della vita degli abitanti. Negli ultimi tre anni l’amministrazione regionale piemontese ha sospeso il servizio su ben tredici linee ferroviarie (sic!). Dopo una grande mobilitazione fra utenti del treno e frequentatori della montagna si è riusciti in extremis – ma con due sole corse al giorno di andata e ritorno (bell’esempio di ipocrisia istituzionale) – a salvare nel nuovo orario 2013/2014 il servizio sulla ferrovia transfrontaliera alpina del Colle di Tenda. Questa linea collega, con opere di ingegneria straordinarie, la città di Cuneo con le riviere di Ventimiglia e Nizza, nel cuore delle Alpi Marittime. Va detto, per i lettori trentini, che questa linea era stata distrutta dalla ritirata dell’esercito tedesco alla fine della seconda guerra mondiale ed è stata ricostruita e riattivata nell’estate 1979 grazie ad una convenzione internazionale fra Italia e Francia su insistente richiesta delle popolazioni locali. Sarà inevitabile che, con due sole corse di treni in salita e due in discesa, si registreranno presto flessioni di traffico tali da poter poi sbandierare l’anti-economicità della linea. Anche in questo caso, come vedremo successivamente per il Trentino e le Dolomiti, gli Svizzeri proposero di sostenere economicamente l’attivazione di un collegamento fra Berna e Nizza (via Sempione-Tenda) che già esisteva prima della guerra. Proprio riguardo all’interesse svizzero per i collegamenti intra-alpini in chiave di mobilità dolce, una recente proposta rossocrociata intenderebbe promuovere un collegamento fra Sankt-Moritz e Venezia attraverso le Dolomiti. Peraltro non si tratta di una novità assoluta. Nello scorso mese di Ottobre a Trento, su iniziativa dell’Osservatorio di Studi Autonomistici Regionali ed Europei (OSAR), venne presentata a Palazzo Trentini (sede del Consiglio provinciale) una riedizione del libro di Emanuele Lanzerotti (1919) dal titolo: Rete trentina delle ferrovie secondarie. Relazione sulle ferrovie elettriche a scartamento d’un metro nelle Alpi orientali. Un progetto che, pur con tutte le limitazioni cronologiche e tecniche, ritorna ora di grande attualità. Ancora una volta non possiamo che sottolineare come le grandi lezioni in materia di governo del territorio montano ci provengano dai Paesi d’oltralpe e dalle loro culture. Per queste ragioni il Trentino ed il Sudtirolo, che da quelle culture discendono per storia e tradizione, anche su questi temi possono salvaguardare le loro diversità e autonomie rispetto al modello italiano.

                                                                                Annibale Salsa